Quarant'anni fa, da un palco a Padova, Enrico Berlinguer pronunciava le sue ultime parole pubbliche, lasciando un'eredità politica e morale che risuona ancora oggi nel cuore dell'Italia.
Sono passati quarantuno anni esatti da quel maledetto 7 giugno 1984, quando Piazza della Frutta a Padova fu teatro degli ultimi, drammatici istanti pubblici di Enrico Berlinguer. Un comizio interrotto solo dalla forza inesorabile del destino, un addio al pubblico che si trasformò in un'agonia di quattro giorni e in un lutto nazionale.
Oggi, a distanza di oltre quattro decenni, la sua assenza risuona ancora con una forza disarmante nel panorama politico italiano.
Quel giorno, la scena fu di un'intensità indimenticabile.
Berlinguer, nonostante i chiari segni di malore – la mano alla bocca, lo sguardo velato, la montatura degli occhiali tremante – si aggrappava al palco, deciso a portare a termine il suo discorso.
I militanti gli urlavano di fermarsi, di scendere, ma la sua determinazione era più forte di ogni richiamo. "Basta Enrico!", "Scendi giù!", eppure lui trovava la forza di andare avanti, nutrito dall'applauso e dai cori incessanti: "Enrico! Enrico! Enrico!".
Un'immagine di strenua resistenza, di dedizione assoluta, che si imprime nella memoria collettiva.
Il comizio, purtroppo, si concluse con la perdita di conoscenza e il ricovero in ospedale.
Accanto a lui, in quei giorni di angoscia, c'era un altro gigante della Repubblica, il Presidente Sandro Pertini.
Il legame tra i due era profondo, quasi filiale. Nell'ora più buia, Pertini ripeteva a chiunque entrasse in quella stanza d'ospedale: "Lo porto con me.
Lo porto con me a Roma.
Lo porto via, come un amico fraterno, come un figlio, come un compagno di lotta".
E così fu.
Il 13 giugno 1984, Roma si fermò per l'addio a Berlinguer.
Due milioni di italiani in lacrime scesero in piazza per salutarlo, in una manifestazione di affetto e cordoglio senza precedenti.
L'onda emotiva di quei giorni ebbe un impatto clamoroso anche sulle successive elezioni europee.
Quattro giorni dopo, il 17 giugno, quasi 12 milioni di italiani votarono Partito Comunista Italiano, che per la prima volta in 38 anni superò la Democrazia Cristiana.
Un evento storico, irripetibile, che simboleggiò la forza di un uomo e del suo messaggio, capace di mobilitare le coscienze al di là delle divisioni ideologiche.
Da allora, né l'una né l'altra cosa si è più ripetuta: né una partecipazione popolare di tale portata per un leader politico, né un sorpasso così significativo del PCI sul partito di maggioranza relativa.
Quarantuno anni dopo, il "quanto manca Enrico Berlinguer" risuona come un mantra.
Il vuoto politico attuale, spesso percepito come privo di voci autorevoli e di saldi principi, amplifica il rimpianto per la sua figura.
La sua integrità morale, la sua visione politica orientata alla "questione morale" e alla necessità di un rigore etico nella vita pubblica, sembrano oggi più che mai necessarie.
Berlinguer incarnava una politica di ideali, di sobrietà, di profonda onestà intellettuale e personale.
La sua ricerca di un "compromesso storico" con le forze democratiche, pur non concretizzandosi pienamente, testimoniava la sua capacità di guardare oltre le barricate ideologiche in nome del bene comune.
La magistrale e filologica ricostruzione della sua figura, come quella offerta da Elio Germano nell'opera "La grande ambizione", ci ricorda l'importanza di non dimenticare una voce che ha segnato profondamente la storia italiana.
Siamo tutti, in qualche modo, orfani di quella visione, di quel rigore.
Chi ne è stato testimone diretto, chi non ha fatto in tempo a conoscerlo, e chi verrà, tutti sentono il peso di un'assenza che continua a interrogarci sul presente e sul futuro della politica italiana.
In un'epoca di frammentazione e di apparente mancanza di leadership carismatiche e moralmente salde, l'eco di Enrico Berlinguer ci ricorda che la politica può e deve essere anche una questione di valori, di integrità e di servizio al Paese.
Forse è proprio da quell'eredità che dovremmo ripartire per costruire un futuro migliore.
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