Adesso è ancora più sicuro che sarà tollerato il Genocidio a Gaza.
Alle 01:50 di questa notte, ora italiana, il Presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, ha annunciato ufficialmente l'ingresso del suo Paese nel conflitto contro l'Iran, schierandosi al fianco di Israele.
L'annuncio, diffuso tramite la piattaforma Truth, ha scosso le fondamenta della diplomazia internazionale e ha proiettato il mondo in un'era di incertezza senza precedenti.
"Abbiamo completato con successo il nostro attacco ai tre siti nucleari in Iran, tra cui Fordow, Natanz ed Esfahan.
Congratulazioni ai nostri grandi guerrieri americani.
Questo è un momento storico per gli Stati Uniti, per Israele e per il mondo intero", ha dichiarato il Presidente Trump nel suo messaggio.
Questa mossa segna una drammatica escalation delle tensioni in Medio Oriente e contraddice apertamente l'immagine di "pacifista" che molti, in particolare tra le schiere dei sovranisti, avevano attribuito al leader americano.
E se già i normodotati di un cervello pensante sapevano già che fosse una cazzata, sarà difficile spiegarlo agli imbecilli che invece del cervello non sanno che farsene, qualora lo abbiano, anche se spento.
Fino a poche ore fa lo stesso Trump aveva più volte rivendicato il diritto al "Nobel per la pace", presentandosi come l'uomo capace di scongiurare conflitti.
La realtà attuale dipinge un quadro ben diverso: gli Stati Uniti, sotto la sua guida, hanno ora lanciato un attacco militare diretto contro l'Iran, trascinando con sé la comunità internazionale in una crisi potenzialmente catastrofica.
L'attacco ai siti nucleari iraniani di Fordow, Natanz ed Esfahan rappresenta un'azione militare di vasta portata con implicazioni globali. Sebbene non siano ancora disponibili dettagli aggiuntivi sull'entità dei danni o sulle eventuali risposte iraniane, l'operazione mira chiaramente a smantellare le capacità nucleari di Teheran.
La comunità internazionale è ora chiamata a confrontarsi con le conseguenze di queste azioni. Le reazioni da parte degli altri attori globali sono attese con il fiato sospeso, così come l'impatto sui mercati finanziari e sulla stabilità regionale e mondiale.
La retorica del "pacifismo" che ha circondato la figura di Trump è ora messa a dura prova di fronte alla cruda realtà di un conflitto su vasta scala.
Molti osservatori e commentatori politici che avevano sostenuto la narrazione di un Trump propenso alla pace si trovano ora in una posizione difficile.
L'inizio di questa guerra, infatti, solleva interrogativi pressanti sulla responsabilità delle narrazioni politiche e sulle loro potenziali ricadute.
L'ingresso degli Stati Uniti in guerra contro l'Iran, al fianco di Israele, solleva interrogativi cruciali sulla possibilità che Washington possa esercitare pressioni significative su Israele riguardo al genocidio in corso a Gaza.
L'analisi è chiara: in un contesto di conflitto aperto con l'Iran, appare estremamente improbabile che gli USA possano permettersi di "rompere le scatole" a un alleato così strategico.
La priorità strategica degli Stati Uniti diventa ora il coordinamento militare con Israele per contenere e sconfiggere la minaccia iraniana. Qualsiasi disaccordo pubblico o pressione su Israele riguardo a Gaza rischierebbe di minare questa alleanza cruciale, compromettendo l'efficacia delle operazioni militari in corso.
Esiste una dipendenza reciproca tra i due Paesi: gli USA contano su Israele come partner militare chiave nella regione per intelligence e capacità operative, mentre Israele dipende fortemente dal supporto americano.
Questa interdipendenza si rafforza ulteriormente in un momento di conflitto diretto, rendendo quasi impensabile un'incrinatura nel rapporto.
Inoltre, gli obiettivi divergono.
Per gli Stati Uniti, la presunta minaccia nucleare iraniana è una priorità di sicurezza globale.
Per Israele, la minaccia iraniana (diretta e tramite i suoi proxy) è esistenziale.
Sebbene le preoccupazioni per Gaza persistano, in un contesto di guerra con l'Iran, la questione palestinese rischia di essere relegata in secondo piano per quanto riguarda le priorità immediate degli Stati Uniti.
La critica pubblica a Israele, schierato come alleato contro l'Iran, apparirebbe contraddittoria e indebolirebbe la coesione del "fronte unito".
Infine, la pressione interna negli USA gioca un ruolo fondamentale.
Il sostegno a Israele è tradizionalmente forte e bipartisan.
In un periodo di guerra, il nazionalismo e il bisogno di coesione interna tendono a prevalere, rendendo meno probabili le pressioni su un alleato percepito come indispensabile.
In sintesi, la guerra con l'Iran cambierà radicalmente il panorama geopolitico in Medio Oriente.
La questione di Gaza, pur restando una tragedia umanitaria di proporzioni immani, verrà quasi certamente subordinata alle necessità strategiche e militari del conflitto più ampio.
Gli Stati Uniti, avendo compiuto la scelta di entrare in guerra al fianco di Israele, difficilmente si permetterebbero di mettere in discussione l'operato del loro alleato su una questione che, sebbene grave, non rientra nel perimetro immediato della nuova guerra dichiarata.
In questa che viene già definita "l'ora più buia del secolo", la ragione sembra cedere il passo alla logica del conflitto.
Il mondo attende, con apprensione, i prossimi sviluppi di una crisi che potrebbe ridefinire gli equilibri geopolitici per i decenni a venire.
Commenti