Il Presidente USA, in un ennesimo post controverso su Truth Social, pretende la grazia per il Premier israeliano Benjamin Netanyahu, accusato di corruzione, definendo il processo una 'caccia alle streghe' e provocando un'ondata di sdegno internazionale.
Un nuovo, clamoroso post del Presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, pubblicato sulla sua piattaforma Truth Social, ha scatenato un'ondata di polemiche e preoccupazione negli ambienti diplomatici e giuridici internazionali.
Con toni perentori e serissimi, Trump ha pubblicamente richiesto che il processo per corruzione a carico del Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu venga "annullato" o che sia addirittura "concessa la grazia a un grande eroe che ha fatto così tanto per il suo Stato".
Le dichiarazioni del presidente USA, che ha definito il procedimento contro Netanyahu una "caccia alle streghe", non solo rappresentano un'ingerenza palese negli affari interni di uno Stato sovrano, ma sollevano anche serie interrogativi sulla sua concezione di giustizia e sulla sua potenziale influenza sullo scenario politico globale.
Netanyahu è attualmente sotto processo in Israele con accuse di corruzione, frode e abuso di fiducia, in un caso che ha profondamente scosso la politica israeliana e ha contribuito a un lungo periodo di instabilità governativa.....
e direi anche uno dei motivi per tutte le guerre che ha scatenato, facendo in modo che affari più gravi lasciassero questa questione come meno prioritaria e legittimandosi da solo a proseguire ad avere il comando della sua nazione.
(del resto, l'ho sempre detto a più riprese in precedenti articoli)
L'appello di Trump a porre fine al processo Netanyahu, equiparando l'accusa a una "caccia alle streghe", riecheggia la stessa retorica che il Presidente adotta regolarmente per descrivere le proprie numerose vicende giudiziarie negli Stati Uniti, che spaziano da accuse di frode finanziaria a tentativi di sovvertire i risultati elettorali.
Questa coerenza nel linguaggio suggerisce una visione della giustizia come strumento malleabile, da manipolare a proprio vantaggio o a beneficio degli alleati politici.
La mossa non è solo inusuale per un ex capo di Stato, ma sfida apertamente i principi fondamentali della sovranità nazionale e dell'indipendenza del potere giudiziario.
Commentare, e men che meno chiedere l'annullamento, di un processo in corso in un altro Paese, soprattutto di fronte ad accuse così gravi, è un'azione che va ben oltre le normali dinamiche diplomatiche e solleva il timore di un pericoloso precedente nelle relazioni internazionali.
L'incidenza di figure come Trump e Netanyahu sul panorama globale, spesso descritte da alcuni osservatori come "guerrafondai eversivi" per il loro approccio deciso e la loro propensione a sfidare le norme consolidate, non è un caso.
Milioni di elettori in entrambi i paesi hanno scelto e continuano a sostenere questi leader, nonostante le controversie e le accuse che li circondano.
Questo dato democratico fondamentale, come sottolineato da più parti, non va mai dimenticato e impone una riflessione profonda sulla fiducia che i cittadini ripongono in figure percepite come forti e determinate, anche a costo di mettere in discussione le fondamenta dello stato di diritto e della cooperazione internazionale.
Le parole di Trump mettono in evidenza non solo la sua personale interpretazione delle regole democratiche, ma anche le potenziali derive di un populismo che, una volta al potere, rischia di erodere le istituzioni e le garanzie legali, tanto a livello nazionale quanto su scala globale.
Le sorti di equilibri delicati e la percezione stessa della giustizia internazionale restano appese al filo di queste dichiarazioni, che continuano a generare un acceso dibattito e a tenere alta la guardia degli osservatori internazionali.
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