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Il primo romanzo di Mancio M. Ruggiero

La Liberazione di Giovanni Brusca: Un Pugno Nello Stomaco della Memoria, un Pilastro della Legge.



Il rilascio dell'ex mafioso di Cosa Nostra, responsabile della strage di Capaci, riaccende l'indignazione ma riafferma il principio cardine della collaborazione con la giustizia, voluta da Giovanni Falcone per smantellare la criminalità organizzata dall'interno.



Un epilogo che riapre ferite profonde ma ribadisce l'efficacia di uno strumento legale cruciale nella lotta alla mafia: il dibattito sulla scarcerazione di "Lo Scannacristiani" mette in luce la complessità del sistema premiale e l'eredità di Giovanni Falcone.

La notizia è giunta come un pugno nello stomaco per molti: Giovanni Brusca, soprannominato "U Scannacristiani", l'uomo che azionò il telecomando nella strage di Capaci e responsabile di oltre 150 omicidi, inclusa la terribile dissoluzione nell'acido del piccolo Giuseppe Di Matteo, è un uomo libero. 
Dopo venticinque anni di reclusione e quattro di libertà vigilata, a 68 anni, il suo percorso detentivo si è concluso. 
Una notizia che, comprensibilmente, ha scatenato un'ondata di sdegno e smarrimento, riaprendo ferite ancora vive nella memoria collettiva italiana.

L'emozione istintiva, la rabbia, l'indignazione di fronte a un simile epilogo sono reazioni umane e comprensibili. 
Chi non avverte un sussulto dinanzi alla liberazione di un criminale di tale calibro, forse non conosce la storia sanguinosa della mafia negli ultimi trent'anni, o non ha il cuore di accogliere il dolore che essa ha seminato.

Eppure, al di là del moto viscerale, esiste la ragione, uno strumento infinitamente più utile ed efficace quando si affrontano le complessità della lotta alla criminalità organizzata.

È questa ragione che ci impone di guardare indietro, al 15 gennaio 1991, quando un uomo della statura di Giovanni Falcone – non un passante qualunque – ebbe l'intuizione geniale di introdurre un sistema "premiale" per i collaboratori di giustizia. 
Un sistema che, fino a quel momento, era stato applicato solo ai terroristi. 
Quell'intuizione si sarebbe rivelata una svolta epocale.

Senza quella legge, voluta e creduta da Falcone, Giovanni Brusca non avrebbe mai parlato. 
E come lui, quasi nessuno degli oltre mille collaboratori di giustizia che hanno radicalmente cambiato la storia della lotta alla mafia in Italia. 

È grazie alle loro rivelazioni che sono stati arrestati innumerevoli mafiosi a ogni livello, sono stati svelati i legami tra mafia, politica e imprenditoria che oggi consideriamo assodati, ma che un tempo erano impensabili.

Brusca, in quasi vent'anni di collaborazione, ha contribuito a far luce su pagine oscure della nostra storia, dalla strage di Capaci all'omicidio Di Matteo, dalle dinamiche interne dei clan corleonesi alle profonde connessioni tra criminalità organizzata e potere, inclusa l'esistenza della trattativa Stato-mafia. 

Se il suo percorso giudiziario si fosse esaurito in un ergastolo silenzioso, senza sconti di pena che oggi turbano le nostre coscienze, decine, se non centinaia, di mafiosi sarebbero ancora a piede libero, e la nostra conoscenza delle dinamiche di Cosa Nostra sarebbe rimasta infinitamente più rudimentale.

Ci si potrebbe chiedere se Giovanni Brusca potrà mai essere "rieducato" come cittadino, come suggerisce l'articolo 27 della Costituzione in merito alla funzione rieducativa della pena. 
Ma la vera domanda, l'unica che abbia senso porsi, non è questa. 
La domanda è: vale di più la libertà, dopo trent'anni, di una "bestia" pluriomicida, o le vite e le atrocità che abbiamo salvato e risparmiato in cambio di quella libertà? 
Richiede coraggio, e molta razionalità, dare una risposta a questa domanda.

Gridare allo scandalo è comprensibile, ma può essere anche miope e, in ultima analisi, pericoloso. 
Rimettere in discussione il principio cardine della collaborazione con la giustizia significa intaccare le fondamenta della lotta alla mafia per cui uomini come Falcone e Borsellino hanno dato la vita. 
La Legge, con le sue imperfezioni e le sue scelte difficili, è ciò che ci allontana e ci preserva dalla barbarie che un uomo come Giovanni Brusca ha rappresentato e rappresenterà sempre.

A ricordarcelo, con una dignità e una lucidità disarmante, è stata proprio Maria Falcone, sorella di Giovanni. 
Quattro anni fa, al momento della libertà vigilata di Brusca, mentre alcune voci politiche gridavano alla "vergogna di Stato" e allo "schiaffo morale", cavalcando la rabbia popolare, Maria Falcone ha offerto una lezione di coraggio e lucidità.
"Umanamente è una notizia che mi addolora," aveva dichiarato, "ma questa è la legge, una legge che peraltro ha voluto mio fratello. E quindi va rispettata."

Recentemente, commentando la sua piena liberazione, ha ribadito: "Come cittadina e come sorella, non posso nascondere il dolore e la profonda amarezza che questo momento inevitabilmente riapre. 
Ma come donna delle Istituzioni, sento anche il dovere di affermare con forza che questa è la legge. 
Una legge, quella sui collaboratori di giustizia, voluta da Giovanni, e ritenuta indispensabile per scardinare le organizzazioni mafiose dall'interno." 
Ha aggiunto, con parole che pesano come macigni: "Le norme vanno rispettate sempre. 
I miei sentimenti personali vengono sempre un passo indietro a quello che è il beneficio per la collettività. 
E il beneficio è quello che ha dato fino ad adesso. L’istituto dei pentiti è stato voluto da Giovanni, non posso essere io contraria a quelli che erano i suoi desideri. 
La legge sui pentiti prevede che chi collabora abbia questi sconti di pena. 
Senza questi sconti, non ci sarebbero i pentiti e tutto quello che sappiamo. C’è ancora molto da sapere, ma una parte l’abbiamo saputa tramite loro."

Dinanzi a tali parole, che incarnano la resilienza e la profonda adesione ai principi di giustizia, non resta che inchinarsi. 

La liberazione di Giovanni Brusca, pur dolorosa, ci costringe a riflettere sulla complessità della giustizia e sull'efficacia di strumenti legali che, pur a caro prezzo emotivo, hanno permesso di infliggere colpi mortali alle organizzazioni criminali. 
Un amaro promemoria che la lotta alla mafia è una battaglia costante, fatta anche di scelte difficili e di compromessi necessari per il bene superiore della collettività.

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