Meloni scandalosa! Boicotta il Referendum; scempio Istituzionale nel Giorno della Repubblica!
La decisione della Premier di astenersi dal quorum è un affronto alle istituzioni, denunciano i critici, mentre si eleva l'appello a votare Sì in massa per difendere i principi costituzionali e la giustezza di quesiti a favore di lavoro e inclusione.
Il 2 giugno, in concomitanza con le celebrazioni della Festa della Repubblica, la Presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha rilasciato dichiarazioni riguardo i prossimi referendum dell'8 e 9 giugno, creando un'onda di dibattito nel panorama politico e pubblico italiano.
Colei che hanno votato per guidare il Governo ha espresso l'intenzione di recarsi ai seggi ma di non ritirare la scheda elettorale, una mossa ampiamente interpretata come un tentativo esplicito di boicottare il raggiungimento del quorum, elemento fondamentale per la validità dei quesiti referendari.
Ma la vergognosa opera della Premier meritava di avere più spazio ed un contesto tutto suo.
Il punto centrale delle critiche è che, sebbene sia un diritto di ogni singolo cittadino scegliere come votare (o non votare), l'azione di una figura istituzionale di tale rilevanza assume un peso differente.
Si è evidenziato come ciò possa essere percepito non solo come una sottrazione al dovere civico di partecipare pienamente al processo democratico, ma anche come un tentativo di delegittimare lo strumento referendario stesso, contravvenendo a quello spirito di promozione della partecipazione che dovrebbe guidare le più alte cariche dello Stato.
Diversi esponenti politici e costituzionalisti hanno parlato di un gesto senza precedenti, che rischia di svuotare di significato l'atto stesso del voto e di calpestare le istituzioni che la Presidente è chiamata a rappresentare.
Questo comportamento è stato definito da molti come "grammaticalmente e istituzionalmente gravissimo", un gioco con i simboli della democrazia che li piega al proprio volere e che, tramite la sua influenza, potrebbe spingere molti cittadini a compiere la stessa scelta, minando la forza elettorale e la carica simbolica dello strumento referendario.
Questo legame indissolubile tra il referendum e la nascita della Repubblica è stato richiamato per sottolineare come la Costituzione italiana, figlia della Resistenza e della lotta per la libertà, sia fondata su principi inalienabili di partecipazione, giustizia sociale, pace e uguaglianza.
In questo contesto, l'Articolo 1, che definisce l'Italia come "Repubblica democratica, fondata sul lavoro", e l'Articolo 11, che ripudia la guerra come strumento di offesa, sono stati citati come pilastri fondamentali che il voto referendario, secondo i sostenitori del Sì, intende rafforzare e attuare pienamente.
Si è evidenziato come la Repubblica stessa sia nata da un referendum e che ignorare o boicottare questo strumento significhi, in un certo senso, "bestemmiare" la sua origine.
A fronte delle dichiarazioni della Presidente del Consiglio, un coro di voci si è levato con un forte appello alla partecipazione massiccia al voto referendario dell'8 e 9 giugno.
L'invito è a recarsi alle urne e ad esprimere un voto valido sui quesiti proposti, non solo come atto di esercizio di un diritto fondamentale, ma anche come segnale inequivocabile di difesa della democrazia e delle sue istituzioni.
Si è sottolineato più volte che la democrazia si rafforza e si evolve con la partecipazione attiva e consapevole dei cittadini e che la Costituzione "vive se noi la facciamo vivere".
Si invita a comprendere la "grammatica delle dichiarazioni" e il peso dei simboli, riconoscendo che nel comportamento della Presidente si nasconde una "potenza disgregante" della narrazione democratica.
Quest'anno, inoltre, i quesiti referendari sono stati presentati come di evidente e universale giustezza, rendendo ancor più incomprensibili eventuali dubbi sulla partecipazione e sul voto.
I quesiti referendari, promossi dalla CGIL, vertono su temi di grande attualità legati al mondo del lavoro e ai diritti di cittadinanza:
* Diritto al reintegro in caso di licenziamento ingiusto, per una maggiore tutela del posto di lavoro.
* Equo risarcimento anche per chi lavora in piccole imprese, garantendo diritti uniformi.
* Limitazione dei contratti a termine solo a casi di reale necessità, per contrastare la precarietà e favorire la stabilità lavorativa.
* Responsabilità in solido per la sicurezza sul lavoro negli appalti, aumentando le tutele contro gli infortuni.
* Diritto alla cittadinanza per chi vive, lavora e studia in Italia da almeno 5 anni, un passo verso una società più inclusiva e il riconoscimento dei percorsi di vita di molti residenti.
La contrapposizione netta tra la posizione della Presidente del Consiglio, percepita come uno "scandalo" istituzionale, e l'appello alla partecipazione attiva evidenzia non solo la centralità del referendum come strumento di democrazia diretta, ma anche la necessità di una riflessione profonda sul ruolo delle figure istituzionali nel garantire e promuovere la piena attuazione dei principi democratici nel nostro Paese.
Il voto degli 8 e 9 giugno si configura, dunque, non solo come una scelta sui singoli quesiti, ma anche come un test significativo per la salute e la vitalità della democrazia italiana.
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