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Meloni scandalosa! Boicotta il Referendum; scempio Istituzionale nel Giorno della Repubblica!



La decisione della Premier di astenersi dal quorum è un affronto alle istituzioni, denunciano i critici, mentre si eleva l'appello a votare Sì in massa per difendere i principi costituzionali e la giustezza di quesiti a favore di lavoro e inclusione.


Il 2 giugno, in concomitanza con le celebrazioni della Festa della Repubblica, la Presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha rilasciato dichiarazioni riguardo i prossimi referendum dell'8 e 9 giugno, creando un'onda di dibattito nel panorama politico e pubblico italiano. 

Colei che hanno votato per guidare il Governo ha espresso l'intenzione di recarsi ai seggi ma di non ritirare la scheda elettorale, una mossa ampiamente interpretata come un tentativo esplicito di boicottare il raggiungimento del quorum, elemento fondamentale per la validità dei quesiti referendari.

La scelta di annunciare questa posizione proprio il 2 giugno non è casuale. 
Questa data, che commemora la nascita della Repubblica Italiana attraverso il referendum istituzionale del 1946 – un momento storico che vide per la prima volta la partecipazione al voto delle donne – è da molti considerata il simbolo per eccellenza dell'importanza della partecipazione democratica e della sovranità popolare.

Avevo già affrontato questa specie di paradosso in un precedente articolo che parlava più che altro dei festeggiamenti della Festa della Repubblica:👇🏼

Ma la vergognosa opera della Premier meritava di avere più spazio ed un contesto tutto suo.

La dichiarazione, "Andrò a votare, ma non ritiro la scheda", ha generato un'immediata e forte reazione. 
Da un lato, la Presidente ha ribadito il suo rispetto formale del dovere civico di presentarsi alle urne. 
Dall'altro, la sua chiara volontà di non contribuire al quorum ha scatenato una pioggia di critiche da parte dell'opposizione e di numerosi commentatori, i quali hanno bollato il comportamento come scandaloso e istituzionalmente grave. 
Molti hanno sollevato interrogativi sulla legittimità e l'opportunità del ruolo di un Presidente del Consiglio nel suggerire comportamenti che potrebbero minare l'esito di uno strumento di democrazia diretta.

Il punto centrale delle critiche è che, sebbene sia un diritto di ogni singolo cittadino scegliere come votare (o non votare), l'azione di una figura istituzionale di tale rilevanza assume un peso differente. 

Si è evidenziato come ciò possa essere percepito non solo come una sottrazione al dovere civico di partecipare pienamente al processo democratico, ma anche come un tentativo di delegittimare lo strumento referendario stesso, contravvenendo a quello spirito di promozione della partecipazione che dovrebbe guidare le più alte cariche dello Stato. 

Diversi esponenti politici e costituzionalisti hanno parlato di un gesto senza precedenti, che rischia di svuotare di significato l'atto stesso del voto e di calpestare le istituzioni che la Presidente è chiamata a rappresentare. 

Questo comportamento è stato definito da molti come "grammaticalmente e istituzionalmente gravissimo", un gioco con i simboli della democrazia che li piega al proprio volere e che, tramite la sua influenza, potrebbe spingere molti cittadini a compiere la stessa scelta, minando la forza elettorale e la carica simbolica dello strumento referendario.

Il dibattito si è acceso richiamando le radici profonde della Repubblica Italiana. 
Il referendum del 1946 non fu solo la scelta tra Monarchia e Repubblica, ma rappresentò un momento fondativo della democrazia italiana post-bellica, un passaggio cruciale che vide la partecipazione di milioni di cittadini dopo un ventennio di dittatura fascista. 
Questo evento segnò non solo la fine di un'era, ma anche l'inizio di una nuova, con l'apertura del voto alle donne che rappresentò una svolta epocale per l'uguaglianza e la partecipazione civica nel Paese.

Questo legame indissolubile tra il referendum e la nascita della Repubblica è stato richiamato per sottolineare come la Costituzione italiana, figlia della Resistenza e della lotta per la libertà, sia fondata su principi inalienabili di partecipazione, giustizia sociale, pace e uguaglianza. 

In questo contesto, l'Articolo 1, che definisce l'Italia come "Repubblica democratica, fondata sul lavoro", e l'Articolo 11, che ripudia la guerra come strumento di offesa, sono stati citati come pilastri fondamentali che il voto referendario, secondo i sostenitori del Sì, intende rafforzare e attuare pienamente. 

Si è evidenziato come la Repubblica stessa sia nata da un referendum e che ignorare o boicottare questo strumento significhi, in un certo senso, "bestemmiare" la sua origine.

A fronte delle dichiarazioni della Presidente del Consiglio, un coro di voci si è levato con un forte appello alla partecipazione massiccia al voto referendario dell'8 e 9 giugno. 

L'invito è a recarsi alle urne e ad esprimere un voto valido sui quesiti proposti, non solo come atto di esercizio di un diritto fondamentale, ma anche come segnale inequivocabile di difesa della democrazia e delle sue istituzioni. 

Si è sottolineato più volte che la democrazia si rafforza e si evolve con la partecipazione attiva e consapevole dei cittadini e che la Costituzione "vive se noi la facciamo vivere". 

Si invita a comprendere la "grammatica delle dichiarazioni" e il peso dei simboli, riconoscendo che nel comportamento della Presidente si nasconde una "potenza disgregante" della narrazione democratica.

Quest'anno, inoltre, i quesiti referendari sono stati presentati come di evidente e universale giustezza, rendendo ancor più incomprensibili eventuali dubbi sulla partecipazione e sul voto. 

I temi affrontati sono ritenuti di fondamentale importanza per la tutela dei diritti dei lavoratori e per l'integrazione sociale, aspetti che dovrebbero unire l'interesse di tutti i cittadini, specialmente i dipendenti. 
La proposta relativa alla cittadinanza per chi vive e lavora in Italia da anni è vista come un atto di equità e riconoscimento di percorsi di vita e contributi alla società.

I quesiti referendari, promossi dalla CGIL, vertono su temi di grande attualità legati al mondo del lavoro e ai diritti di cittadinanza:

 * Diritto al reintegro in caso di licenziamento ingiusto, per una maggiore tutela del posto di lavoro.

 * Equo risarcimento anche per chi lavora in piccole imprese, garantendo diritti uniformi.

 * Limitazione dei contratti a termine solo a casi di reale necessità, per contrastare la precarietà e favorire la stabilità lavorativa.

 * Responsabilità in solido per la sicurezza sul lavoro negli appalti, aumentando le tutele contro gli infortuni.

 * Diritto alla cittadinanza per chi vive, lavora e studia in Italia da almeno 5 anni, un passo verso una società più inclusiva e il riconoscimento dei percorsi di vita di molti residenti.

La contrapposizione netta tra la posizione della Presidente del Consiglio, percepita come uno "scandalo" istituzionale, e l'appello alla partecipazione attiva evidenzia non solo la centralità del referendum come strumento di democrazia diretta, ma anche la necessità di una riflessione profonda sul ruolo delle figure istituzionali nel garantire e promuovere la piena attuazione dei principi democratici nel nostro Paese. 

Il voto degli 8 e 9 giugno si configura, dunque, non solo come una scelta sui singoli quesiti, ma anche come un test significativo per la salute e la vitalità della democrazia italiana. 

Chi non capisce questo ....
Non c'è bisogno che lo insulti io...
Si insulta da solo.

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