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Il primo romanzo di Mancio M. Ruggiero

Diplomazia sotto le bombe: l’equilibrismo di Trump tra Zelensky, Putin e l’Europa.

 


Mentre a Mar-a-Lago si parla di "soluzione vicina", la Russia scatena l'inferno balistico su Kiev. Il dilemma resta: trattare con il Cremlino per fermare il massacro o cedere al ricatto della forza?

Di Mancio


Il tavolo della pace non è mai stato così affollato, né così contraddittorio. 

Nelle ultime ore, la residenza di Donald Trump a Mar-a-Lago è diventata il centro gravitazionale di una frenetica attività diplomatica che cerca di porre fine al conflitto in Ucraina. 
Tuttavia, la distanza tra i proclami politici e la realtà del fronte rimane abissale.

​Il "Triangolo" Mar-a-Lago, Mosca, Bruxelles

​Donald Trump ha incontrato Volodymyr Zelensky definendo il colloquio un passo decisivo verso la risoluzione. 

Secondo il tycoon, sia Zelensky che Putin sarebbero ormai "pronti" a chiudere la partita. 
Poco prima di accogliere il leader ucraino, Trump ha tenuto una telefonata definita "costruttiva" con Vladimir Putin, segnando un netto cambio di passo rispetto a quello che si mormorava fino a pochi minuti prima, ma sarà veramente così?
E soprattutto quante volte abbiamo ascoltato dichiarazioni simili che si sono trasformate in un nulla di fatto?

Questa volta (come tutte le volte) si intende fare credere che sia quella buona.

​Ma la pace di Trump non è un affare a due. 
Durante il summit in Florida, i leader si sono collegati con i principali attori europei: il Cancelliere tedesco Friedrich Merz, il Presidente francese Macron, la Premier italiana Meloni e i Primi Ministri Starmer (UK) e Tusk (Polonia).

​Garanzie di sicurezza e l’ombra di Lavrov

​Il punto cruciale della trattativa ruota attorno alle "forti garanzie di sicurezza" che Trump ha promesso all'Ucraina in caso di cessate il fuoco, sottolineando che l'Europa dovrà essere protagonista in questo processo. 

Donald Tusk ha confermato la compattezza dei partner europei su questo punto: non ci sarà pace senza la certezza che Mosca non attacchi di nuovo.

​Dall'altra parte, il Cremlino gioca al poliziotto buono e quello cattivo. 

Se da un lato il Ministro degli Esteri Sergei Lavrov dichiara la disponibilità russa a collaborare con Washington, dall'altro attacca duramente i leader UE, accusandoli di ignorare gli "scandali interni" ucraini. Lavrov è stato chiaro: la Russia non intende attaccare l'Europa, ma chiunque accarezzi l'idea di colpire il territorio russo subirà "un colpo devastante".

​La realtà del campo: pioggia di missili su Kiev

​Mentre i diplomatici pesano le parole, il ferro e il fuoco parlano un'altra lingua. 

Nella notte tra venerdì e sabato, la Russia ha lanciato uno degli attacchi più feroci degli ultimi mesi contro la capitale ucraina. 
L'impiego di armi d'élite — missili ipersonici Kinzhal, balistici Iskander e da crociera Kalibr — ha messo in ginocchio la rete elettrica, lasciando milioni di cittadini al buio e al gelo.
Per Zelensky, questa è la prova provata che Mosca non vuole la pace, ma solo la resa. 
"Servono posizioni forti, sia al fronte che in diplomazia", ha ribadito il presidente ucraino, per evitare che Putin eluda una conclusione "vera e giusta" del conflitto.

​#Manciopensiero: L'analisi del punto di vista

​Trattare con chi è accusato di crimini di guerra è il boccone più amaro da mandare giù. 

La strategia di Trump sembra puntare al pragmatismo estremo: fermare la distruzione immediata a costo di interloquire con l'invasore. 

Resta però un'incognita morale e politica: una tregua senza giustizia è davvero una soluzione, o è solo una pausa per permettere a Mosca di riorganizzarsi? 

Le minacce di Putin ("Senza intesa, useremo la forza") e i missili su Kiev suggeriscono che, per ora, la diplomazia stia viaggiando su binari paralleli rispetto alla realtà militare.

Ed è normale chiedersi: Ma, alla fine, di cosa stiamo parlando?

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