Dall'Argentina al soglio di Pietro: cronaca di un Pontificato che ha trasformato la fragilità in forza e l'inclusione in missione, parlando a credenti e laici con la stessa voce.
Di: Mancio M.Ruggiero
La figura del
Pontefice è, per natura, complessa e divisiva.
Per i fedeli è il
vicario di Cristo, per altri il leader di un’istituzione millenaria fatta di luci e ombre.
Eppure, la storia ci consegna figure capaci di superare queste barriere.
Se dopo la morte di
Giovanni Paolo II — poi proclamato
Santo — molti temevano che il cammino di riavvicinamento ai "lontani" si sarebbe arrestato (anche a causa dei tempi lunghi di una Chiesa che spesso fatica a passare dalla teoria alla pratica), l'arrivo di un Cardinale dall'
Argentina ha cambiato tutto.
È stata una sorta di magia.
Un passato tra la gente: dal locale di Cordoba alla chimica
Jorge Mario Bergoglio, nato nel quartiere Flores di Buenos Aires il 17 dicembre 1936, non è mai stato un uomo di apparato.
Figlio di
emigranti italiani, prima della vocazione ha conosciuto il mondo reale: ha studiato
chimica e si è mantenuto con lavori umili e decisamente insoliti per un futuro Papa.
È stato addetto alle pulizie in una fabbrica di calzini e persino buttafuori in un locale di
Cordoba.
Ordinato sacerdote nel 1969 sotto la bandiera gesuita, ha affrontato gli anni feroci della dittatura militare cercando di proteggere e nascondere i perseguitati. Nonostante le calunnie di complicità col regime che lo hanno colpito all'inizio del Pontificato, la sua storia parla di una sobria coerenza: anche da Cardinale a Buenos Aires, rifiutava lo sfarzo, si muoveva con i mezzi pubblici e viveva nelle periferie, dove sentiva più urgente il messaggio cristiano.
Il manifesto di Francesco
Arrivato al soglio pontificio a sorpresa nel
2013, al quinto scrutinio dopo le dimissioni di
Benedetto XVI (che per molti è stato un Papa difficile da amare, schiacciato dall'eredità di un predecessore già iconico), Bergoglio ha scelto il nome
Francesco.
Un nome che era un manifesto: povertà e accoglienza.
Ha rinunciato all’appartamento papale per Casa Santa Marta, diventando il primo Papa latino-americano e, soprattutto, il Papa dei migranti.
Il suo viaggio a
Lampedusa nel 2013 resta una pietra miliare.
Non ha mai smesso di stare dalla parte di chi scappa da guerre e torture, accogliendo
profughi siriani in
Vaticano e rispondendo ai critici ed a parecchi politici con una fermezza leggendaria:
“Meglio dichiararsi atei che essere finti cristiani”.
Tra progresso e tradizione
Il suo magistero è stato un esercizio di equilibrio rivoluzionario.
Ha visitato carceri, lavato i piedi ai detenuti e aperto spiragli importanti per la comunità LGBTQ+.
Pur rimanendo inflessibile su temi come l’
aborto, è riuscito nell’impresa di spostare una struttura conservatrice verso una via inclusiva.
Impossibile dimenticare il 27 marzo 2020: lui solo, zoppicante, in una Piazza San Pietro deserta sotto la pioggia, a farsi carico della paura mondiale per la pandemia.
Negli ultimi anni, si è spogliato dei panni puramente spirituali per diventare un Capo di Stato dal carisma unico, parlando di pace, difendendo il popolo palestinese e sognando una missione a Gaza che solo il tempo e la salute gli hanno negato.
L’ultimo saluto a un gigante
Il 20 aprile 2025, la sua ultima apparizione pubblica dalla loggia di San Pietro per la benedizione Pasquale ha segnato la fine di un'era.
Il giorno dopo, l'annuncio del Cardinale Camerlengo Farrell: a 88 anni, Francesco si è spento.
Oggi, in un mondo segnato da genocidi e da un "trumpismo" dilagante e armato, la sua mancanza si sente maledettamente.
È venuto a mancare un uomo straordinario che ha saputo mostrare la dignità nella fragilità.
Restiamo tutti un po' più soli, orfani di una voce che sapeva essere dura contro le ingiustizie ma, come "
Che" diceva un suo grande connazionale, "senza mai perdere la tenerezza".
Quindi ci tengo a ricordare questa grande persona, prima che pontefice, che poche ore fa avrebbe compiuto gli anni.
È un po' come si fanno gli auguri di buon compleanno ad un nonno che non c'è più.
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