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La Russa e le Dichiarazioni Imbarazzanti: La Lapide di Matteotti e le Ferite Aperte della Memoria.

 


Tra il silenzio di Meloni e le ambigue parole del Presidente del Senato, il dibattito sulla storia riaccende le polemiche.

Mentre la presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha scelto il silenzio più assoluto in merito alla distruzione della lapide di Giacomo Matteotti, il Presidente del Senato Ignazio La Russa ha messo nero su bianco dichiarazioni che, pur volendo essere di condanna, hanno sollevato perplessità e critiche, riaprendo il dibattito sulla memoria storica e il ruolo delle istituzioni.

Il gesto vandalico che ha profanato la lapide di Matteotti, figura simbolo della lotta antifascista, ha riacceso i riflettori su una ferita mai del tutto rimarginata nella coscienza collettiva italiana. 

Di fronte a un atto così grave, il silenzio della massima carica di governo appare a molti come un’omissione significativa, mentre le parole di La Russa, pur contenendo una condanna esplicita ("un gesto inaccettabile e vile"), hanno generato un acceso dibattito.

La Russa ha affermato che Matteotti "pagò con la vita la difesa dei suoi convincimenti ideali e politici".

Questa formulazione, per molti osservatori e commentatori, è stata percepita come un’attenuazione della gravità del crimine fascista. 

L'accostamento della "difesa dei convincimenti ideali" ha sollevato l'obiezione che tale espressione possa in qualche modo equiparare le idee di Matteotti a quelle dei suoi assassini, quasi a suggerire una faida tra posizioni diverse, piuttosto che un atto di violenza politica premeditata e brutale.

È cruciale sottolineare che Giacomo Matteotti non fu ucciso per una semplice "faida" ideologica o per la difesa di "convinimenti personali" alla pari di altri. 

Matteotti fu assassinato per aver denunciato le violenze, le illegalità e le frodi del nascente regime fascista. 

La sua battaglia era a difesa della democrazia, della libertà di parola e del rispetto delle regole costituzionali, valori universali e non mere "convinzioni" personali. 

La sua morte fu il culmine di un atto criminale orchestrato dal regime, un attacco alla libertà di tutti e alla stessa idea di Stato di diritto.

La sua figura incarna la resistenza contro un sistema che negava ogni forma di dissenso e che si stava affermando attraverso la violenza e la prevaricazione. 

Il prezzo che pagò fu la vita stessa, non solo per le sue idee, ma per la difesa del diritto di tutti a esprimere le proprie idee, anche quelle scomode.

Le dichiarazioni del Presidente del Senato, unitamente al suo noto legame con simbologie e ricordi del periodo fascista (come la presenza di busti di Mussolini nella sua abitazione, fatto più volte da lui stesso confermato), alimentano ulteriormente il dibattito sul ruolo delle istituzioni nella custodia della memoria storica. 

La presidenza del Senato è la seconda carica dello Stato, un ruolo che impone non solo imparzialità, ma anche una chiara e inequivocabile distanza da qualsiasi forma di revisionismo o ambiguità rispetto a periodi bui della storia italiana.

La differenza tra Matteotti e il fascismo non risiede in una mera opposizione di "convinzioni": Matteotti rappresentava la vita, la democrazia e la libertà, nonostante la sua barbara uccisione. 

Il fascismo, al contrario, è sinonimo di morte, oppressione e violenza, un'ideologia che, come evidenziato dall'atto vandalico sulla lapide, continua a generare pericolose derive.

Queste vicende ci ricordano drammaticamente come la memoria storica non sia un esercizio accademico, ma un terreno su cui si gioca quotidianamente la consapevolezza civica e la salvaguardia dei valori democratici. 

Il modo in cui le istituzioni si pongono di fronte a questi episodi è un indicatore fondamentale della loro capacità di difendere i principi su cui si fonda la Repubblica.

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