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La Tragedia di Razan, 4 anni: Una Morte come tante... per Fame... che Interroga l'Umanità a Gaza




Il silenzio del mondo di fronte a una catastrofe umanitaria che miete i più innocenti, mentre altrove si celebra la politica ed il legaiolo per eccellenza.

Mentre l'attenzione internazionale è spesso divisa e distratta, la Striscia di Gaza continua a essere teatro di una tragedia umanitaria di proporzioni devastanti. 

Tra le innumerevoli vittime innocenti, la storia di Razan Abu Zaher, una bambina di soli quattro anni morta di fame nel 2025, emerge come un crudo monito. 

La sua non è stata una fine violenta causata da bombe o proiettili, né una conseguenza di malattie dirette, ma il risultato di una prolungata agonia dovuta alla privazione di cibo, durata quaranta giorni e trascorsa su una lastra di pietra.

La morte di Razan non è un caso isolato, bensì un riflesso della quotidianità brutale vissuta da migliaia di famiglie a Gaza. 

La carenza estrema di risorse, inclusi alimenti e medicine essenziali, ha trasformato la fame in un'epidemia silenziosa che miete vite, soprattutto tra i più vulnerabili come i bambini.

Il padre di Razan, testimone impotente della sofferenza della figlia, ha vissuto un calvario inimmaginabile. 

Per quaranta giorni le è stato accanto, senza poterle offrire neanche un goccio di latte o un pezzo di pane. 

La sua dichiarazione successiva alla morte della bambina è un pugno allo stomaco: "Perché il mondo non ci vede? Perché il mondo non vede Gaza? Mi sento colpevole, mi odio. 
Lo so che c’è la guerra, lo so che il cibo non c’è perché Israele ci ha chiusi qui dentro, ma io non sono stato in grado di nutrire la mia piccola Razan." 
Le sue parole rivelano una disperazione profonda e un senso di colpa lacerante, nonostante l'evidente impossibilità di agire in un contesto di assedio e carestia.

Questa tragedia assume contorni ancora più amari se messa in contrasto con le azioni di certi rappresentanti politici. 

Nelle stesse ore in cui Razan lottava per la vita e moriva di fame, si registravano notizie di un ministro come il "Legaiolo" Matteo Salvini che, in un contesto completamente differente, riceveva un premio per il suo "servilismo filo-israeliano". Questo accostamento solleva un interrogativo inquietante sulla sensibilità e le priorità di chi detiene il potere, rendendo il premio in questione un simbolo ancora più infame, quasi un'offesa all'umanità sofferente.

La situazione a Gaza si è progressivamente deteriorata a causa del blocco imposto e delle continue ostilità. 

Le restrizioni all'ingresso di aiuti umanitari, carburante e beni di prima necessità hanno strangolato l'economia locale e paralizzato le infrastrutture essenziali, inclusi ospedali e sistemi di distribuzione alimentare. 

Le organizzazioni internazionali e le agenzie umanitarie hanno ripetutamente lanciato allarmi sulla crisi alimentare in corso, avvertendo che la popolazione è sull'orlo di una carestia.

Secondo i rapporti delle Nazioni Unite e di altre agenzie umanitarie, la malnutrizione acuta è in aumento esponenziale tra i bambini di Gaza. 

La mancanza di accesso a cibo nutriente, acqua potabile e servizi igienici adeguati ha creato un ambiente in cui malattie e fame si diffondono rapidamente, minando la salute e la sopravvivenza dei più piccoli. 

Molti bambini, come Razan, non muoiono direttamente per le ferite di guerra, ma per le sue conseguenze indirette, spesso più insidiose e lente.

La tragedia di Razan solleva interrogativi cruciali sulla responsabilità della comunità internazionale e sulla percezione di quanto sta accadendo a Gaza. 

Le parole del padre della bambina – "Perché il mondo non ci vede?" – risuonano come un'accusa diretta all'indifferenza e alla passività.

In questo contesto di sofferenza inaudita, il dibattito sull'uso della parola "genocidio" per descrivere la situazione a Gaza è diventato un punto di contesa. 

Mentre alcuni esitano a impiegare il termine per ragioni legali e diplomatiche, altri sostengono che la portata delle morti civili, la distruzione delle infrastrutture e l'impedimento degli aiuti umanitari configurino un'intenzione di annientamento o perlomeno condizioni che portano a una catastrofe di massa.

Indipendentemente dalla definizione legale, la morte di Razan e di innumerevoli altri bambini a causa della fame rappresenta un fallimento morale collettivo. 

È un richiamo urgente a riconsiderare l'impatto della guerra sui civili e la necessità di garantire l'accesso incondizionato agli aiuti umanitari. 

La sua storia ci ricorda che, al di là delle diatribe politiche, c'è una sofferenza umana profonda e inaccettabile che richiede un'azione immediata e concreta.

La storia di Razan ci interpella: possiamo ancora permetterci di rimanere indifferenti di fronte a tale orrore?

Politici, o presunti tali che cazzo aspettate a muovervi, assassini!


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© Copyright 2013 Mancio Mario Ruggiero

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