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La Vergognosa Posizione Italiana sullo Stato di Palestina: Tra Dolore, Pragmatismo e Contraddizioni



Le Dichiarazioni di Tajani e il Dibattito sul Riconoscimento Internazionale

Le recenti dichiarazioni del ministro degli Esteri italiano, Antonio Tajani, in merito al riconoscimento dello Stato di Palestina da parte della Francia, hanno riacceso il dibattito sulla posizione dell'Italia e, più in generale, dell'Occidente, su una delle questioni più spinose della geopolitica contemporanea. 

Dopo le osservazioni della Presidente del Consiglio Giorgia Meloni, Tajani ha espresso un punto di vista che, pur partendo da una premessa di dolore per la situazione a Gaza e la condanna per le azioni di Hamas, si è sviluppato in argomentazioni che hanno sollevato non poche perplessità e critiche.

Il ministro ha esordito affermando: "Provo dolore per Gaza, Netanyahu non ascolta nessuno e Hamas si fa scudo con i civili". 

Una frase che, se da un lato esprime empatia per la sofferenza della popolazione civile palestinese e una velata critica all'attuale leadership israeliana, dall'altro ha subito lasciato spazio a un'affermazione che molti hanno trovato disarmante: "Se ci fosse qualcosa in grado di fermare Netanyahu, l’avremmo già fatto e deciso". 

Questa vergognosa frase sembra suggerire un senso di impotenza o, per alcuni, una mancanza di volontà politica concreta nell'influenzare le dinamiche del conflitto.

Il punto più controverso delle dichiarazioni di Tajani riguarda però la sua posizione sul riconoscimento dello Stato di Palestina. 
"Uno Stato va prima costruito e poi riconosciuto. Ad oggi in Palestina esistono due entità separate, Cisgiordania e Gaza, non esiste ancora uno Stato. Noi vogliamo che nasca, che riconosca Israele e che sia riconosciuto da Israele", ha affermato il ministro.

Questa argomentazione si scontra con una realtà internazionale ben diversa. 
Attualmente, 148 dei 193 Stati membri delle Nazioni Unite riconoscono la Palestina come Stato, e la stessa Assemblea Generale delle Nazioni Unite le ha concesso lo status di "Stato osservatore non membro" nel 2012. 

La decisione della Francia di procedere con il riconoscimento, come annunciato, si inserisce in un trend crescente di Paesi che ritengono che il riconoscimento possa contribuire a sbloccare l'impasse del processo di pace e a promuovere la soluzione dei due Stati.

L'idea che uno Stato debba "esistere" in una forma compiuta prima di essere riconosciuto è stata definita da molti osservatori come un ostacolo artificiale. 

La prassi internazionale spesso vede il riconoscimento come un atto politico che precede e facilita la piena costruzione statuale, fornendo legittimità e impulso alla governance e alla sovranità di un'entità.

Ancora più problematico è il requisito posto da Tajani che il riconoscimento debba passare per l'assenso di Israele. 

"E non si può perché (ciliegina sulla torta di tutte le puttanate espresse) non è riconosciuto da Israele", ha aggiunto. 

Questa condizione, come è stato fatto notare con una metafora incisiva e provocatoria, appare come una richiesta paradossale: subordinare l'aiuto a una vittima al consenso del suo aggressore. 

Il riconoscimento di uno Stato è un atto sovrano di ciascun Paese e non dovrebbe dipendere dall'approvazione di un'altra nazione, specialmente quando quest'ultima è parte in causa nel conflitto.

Ma come cazzo può partorire una mente sana una tale bestialità?

La posizione italiana, dunque, sembra muoversi su un terreno ambiguo. 
Da un lato, esprime solidarietà e l'auspicio per la nascita di uno Stato palestinese; dall'altro, pone condizioni che, di fatto, ne ritardano o impediscono il riconoscimento, allineandosi a posizioni più conservative che tendono a non voler turbare lo status quo o a non voler prendere posizioni che possano essere percepite come ostili nei confronti di Israele.

Questo approccio "pragmatico", come potrebbe essere definito dai suoi sostenitori, è però visto da molti critici come un'opportunità persa per l'Italia di giocare un ruolo più incisivo e autonomo nella diplomazia mediorientale, allineandosi invece a una retorica che, per alcuni, perpetua un'ingiustizia e rallenta la possibilità di una soluzione duratura al conflitto. 

La recente ondata di riconoscimenti, dalla Spagna all'Irlanda e alla Norvegia, fino alla prossima Francia, dimostra che un'altra via è possibile e che un numero crescente di Paesi ritiene che il riconoscimento sia non un premio, ma un passo necessario verso la pace.

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