La Vergognosa Posizione Italiana sullo Stato di Palestina: Tra Dolore, Pragmatismo e Contraddizioni
Le Dichiarazioni di Tajani e il Dibattito sul Riconoscimento Internazionale
Le recenti dichiarazioni del ministro degli Esteri italiano, Antonio Tajani, in merito al riconoscimento dello Stato di Palestina da parte della Francia, hanno riacceso il dibattito sulla posizione dell'Italia e, più in generale, dell'Occidente, su una delle questioni più spinose della geopolitica contemporanea.
Dopo le osservazioni della Presidente del Consiglio Giorgia Meloni, Tajani ha espresso un punto di vista che, pur partendo da una premessa di dolore per la situazione a Gaza e la condanna per le azioni di Hamas, si è sviluppato in argomentazioni che hanno sollevato non poche perplessità e critiche.
Il ministro ha esordito affermando: "Provo dolore per Gaza, Netanyahu non ascolta nessuno e Hamas si fa scudo con i civili".
Una frase che, se da un lato esprime empatia per la sofferenza della popolazione civile palestinese e una velata critica all'attuale leadership israeliana, dall'altro ha subito lasciato spazio a un'affermazione che molti hanno trovato disarmante: "Se ci fosse qualcosa in grado di fermare Netanyahu, l’avremmo già fatto e deciso".
Questa vergognosa frase sembra suggerire un senso di impotenza o, per alcuni, una mancanza di volontà politica concreta nell'influenzare le dinamiche del conflitto.
L'idea che uno Stato debba "esistere" in una forma compiuta prima di essere riconosciuto è stata definita da molti osservatori come un ostacolo artificiale.
La prassi internazionale spesso vede il riconoscimento come un atto politico che precede e facilita la piena costruzione statuale, fornendo legittimità e impulso alla governance e alla sovranità di un'entità.
Ancora più problematico è il requisito posto da Tajani che il riconoscimento debba passare per l'assenso di Israele.
"E non si può perché (ciliegina sulla torta di tutte le puttanate espresse) non è riconosciuto da Israele", ha aggiunto.
Questa condizione, come è stato fatto notare con una metafora incisiva e provocatoria, appare come una richiesta paradossale: subordinare l'aiuto a una vittima al consenso del suo aggressore.
Il riconoscimento di uno Stato è un atto sovrano di ciascun Paese e non dovrebbe dipendere dall'approvazione di un'altra nazione, specialmente quando quest'ultima è parte in causa nel conflitto.
Ma come cazzo può partorire una mente sana una tale bestialità?
Questo approccio "pragmatico", come potrebbe essere definito dai suoi sostenitori, è però visto da molti critici come un'opportunità persa per l'Italia di giocare un ruolo più incisivo e autonomo nella diplomazia mediorientale, allineandosi invece a una retorica che, per alcuni, perpetua un'ingiustizia e rallenta la possibilità di una soluzione duratura al conflitto.
La recente ondata di riconoscimenti, dalla Spagna all'Irlanda e alla Norvegia, fino alla prossima Francia, dimostra che un'altra via è possibile e che un numero crescente di Paesi ritiene che il riconoscimento sia non un premio, ma un passo necessario verso la pace.
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