Tajani ed il Governo, sciacalli
La tragedia di Gaza continua a mietere vittime, e tra le macerie e il dolore, emergono gesti che, seppur apparentemente umanitari, sollevano interrogativi profondi sulla loro reale motivazione.
Recentemente, il Ministro degli Esteri italiano, Antonio Tajani, ha offerto accoglienza in Italia al piccolo Adam, un bambino di 11 anni, unico sopravvissuto di dieci fratelli sterminati in un bombardamento israeliano a Khan Younis.
Un gesto che, per molti, suona come una nota stonata in un lungo spartito di silenzi e omissioni.
Il recente annuncio dell'accoglienza in Italia del piccolo Adam, l'undicenne unico sopravvissuto di una famiglia sterminata a Khan Younis, ha generato reazioni contrastanti.
Da un lato, il sollievo e l'approvazione per un gesto di umanità verso un bambino che ha vissuto un trauma indicibile.
Dall'altro, un profondo senso di indignazione e scetticismo sulle reali motivazioni dietro questa iniziativa.
Non possono fare a meno di notare la tempistica e le modalità con cui questa notizia è stata diffusa.
Dopo mesi di silenzio, di accuse di omissione e di un appoggio percepito (diretto o indiretto) alle azioni del governo israeliano, la decisione di portare Adam in Italia, con il conseguente clamore mediatico, suona a molti come un'operazione studiata per ripulire l'immagine politica e distogliere l'attenzione da una situazione ben più ampia e drammatica.
L'auspicio è che Adam riceva tutte le cure e il sostegno di cui ha disperatamente bisogno.
Ma, al contempo, non si può smettere di chiedere un impegno concreto e coerente per tutti i bambini e i civili palestinesi che continuano a vivere sotto il giogo della violenza e della privazione, lontani dalle telecamere e dalle promesse politiche.
Altrimenti, gesti come questo, pur lodevoli in sé, rischiano di rimanere solo un "trucco di facciata", un tentativo di lavarsi la coscienza con il sangue delle vittime.
Per anni, la politica italiana è stata accusata di un approccio ambiguo di fronte alla crisi mediorientale. Dopo due anni di silenzio assordante, di presunte omissioni e un sostegno (esplicito e implicito) al governo Netanyahu, l'offerta di accogliere il piccolo Adam appare a molti come un tentativo di ripulire la coscienza collettiva.
Mentre decine di migliaia di bambini palestinesi muoiono sotto i bombardamenti o per la fame, e mentre le notizie di 53.900 civili uccisi (tra cui una vasta percentuale di minori) passano quasi inosservate ai vertici politici, l'attenzione mediatica si concentra su un singolo caso, seppur straziante.
L'indignazione di chi critica questa mossa è palpabile.
Non si tratta di sminuire il valore della vita del piccolo Adam, né di negare la necessità di cure e supporto per un bambino che ha vissuto un tale trauma.
Tuttavia, la sproporzione tra l'umanità selettiva e la propaganda mediatica è evidente.
Il timore è che un gesto di questa portata, amplificato da fanfare mediatiche, possa servire a distogliere l'attenzione da una crisi umanitaria di proporzioni bibliche, dove centinaia di migliaia di bambini sono considerati "di serie C o D", indegni di cure, assistenza e pietà.
L'accusa di "sciacallaggio" non è leggera, ma riflette la frustrazione di chi vede strumentalizzata una tragedia personale per fini politici.
L'auspicio è che il piccolo Adam riceva tutte le cure mediche, umane ed emotive di cui ha bisogno.
Ma, parallelamente, si alza un grido per tutte quelle centinaia di migliaia di bambini palestinesi che affrontano quotidianamente l'inferno, senza riflettori puntati su di loro e senza un'offerta di accoglienza da parte di chi detiene il potere.
Se l'assistenza umanitaria non è universale, se non abbraccia tutti coloro che soffrono indistintamente, allora rischia di non essere che un mero atto di facciata, un "rifarsi il trucco con il sangue dei bambini massacrati".
La vera umanità si misura nella capacità di vedere il dolore ovunque esso si manifesti e agire con coerenza, non solo quando la visibilità mediatica lo impone.
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