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"Siamo morti dentro": il grido della pediatra "Carla' che si interroga sulla nostra anestesia collettiva. Una società passiva ed insensibile..




Carla Tomasini, nota come "Pediatra Carla" su Instagram, usa la sua piattaforma per lanciare un accorato appello contro l'indifferenza per la tragedia dei bambini di Gaza. Le sue parole, che riflettono una profonda sofferenza personale, denunciano una società che ha perso l'empatia e che assiste passivamente a una catastrofe in alta definizione.

​In un'epoca in cui i social media si sono trasformati in megafoni per ogni causa, la voce di una pediatra, Carla Tomasini, emerge con una forza sconvolgente, spezzando il silenzio assordante che circonda la crisi a Gaza.

Conosciuta su Instagram come "Pediatra Carla", un punto di riferimento per migliaia di genitori, la dottoressa ha condiviso una riflessione straziante che va oltre la professione, per toccare le corde più profonde dell'umanità.

​In un post che ha rapidamente guadagnato una vasta risonanza, Tomasini confessa di non stare più bene: la sua routine è scandita da notti insonni, incubi e l'uso di ansiolitici. 

La sua sofferenza non è solo personale, ma è la diretta conseguenza di un'intollerabile dicotomia che vive ogni giorno. 
Da una parte, la sua vita professionale, fatta di bilanci di salute e consigli nutrizionali a famiglie italiane che si preoccupano se i figli rifiutano il cibo. 
Dall'altra, l'orrore delle immagini che la perseguitano, come quella di un collega palestinese che fissa, con occhi vuoti, un bambino mutilato. 
Questa disconnessione tra le due realtà la tormenta, spingendola a chiedersi come sia possibile che la società riesca a convivere con questa doppia morale.

​La denuncia della pediatra si concentra su un'accusa precisa: la perdita di empatia collettiva

Tomasini osserva con amarezza che siamo capaci di commuoverci per un animale domestico di un influencer, ma siamo incapaci di provare lo stesso sentimento per un intero popolo che soffre. 

Gli strumenti che avrebbero dovuto unirci, come internet e i social, ci hanno invece desensibilizzati. 

Stiamo assistendo in alta definizione a una catastrofe umanitaria, ma il nostro coinvolgimento si è ridotto a una passività inquietante. "Non muoviamo un dito neanche per mettere like", scrive, descrivendo un'anestesia generale che ci rende "morti dentro".

​Questo silenzio non è solo indifferenza, ma spesso è frutto della paura. 
Paura di esporsi, di perdere il lavoro, commissioni, un profilo sui social o di essere etichettati e giudicati. 
Il timore di essere accusati di fare "politica" o, peggio, di antisemitismo, paralizza molte persone. 
La dottoressa sottolinea come il popolo ebraico abbia insegnato al mondo a coltivare la memoria per evitare che gli orrori si ripetano, ma l'umanità non sembra aver imparato la lezione. 

Con una domanda provocatoria, Tomasini si chiede se un futuro resort di lusso sorto sulle macerie di Gaza diventerà la meta per gli stessi influencer che oggi tacciono.

​La conclusione di tutto ciò, purtroppo, non può che essere un'analisi amara della situazione geopolitica e morale. 

La citazione dal Talmud, "Chi salva una vita, salva il mondo intero", risuona come un potente rimprovero a un mondo che ha lasciato un intero popolo da solo. 

Tomasini dichiara di non sentirsi rappresentata dal governo italiano, un sentimento che ritiene condiviso da molti.

L'immagine del "re nudo" è un richiamo esplicito alla mancanza di onestà e all'ipocrisia dei poteri che, pur vedendo l'orrore, non agiscono.

​L'appello si chiude con una triste constatazione: "La storia è scritta e noi siamo stati di nuovo dalla parte sbagliata". 

Il Mediterraneo, culla delle civiltà, si è trasformato in una tomba. 

Le sue ultime parole, prese dal film "Mission", offrono una riflessione finale e toccante: "In verità sono io che sono morto e loro che vivono perché lo spirito dei morti sopravvive alla memoria dei vivi"

Un messaggio che ci invita a riflettere sul fatto che la nostra indifferenza e il nostro silenzio sono una forma di morte spirituale, mentre le vittime, con la loro memoria, continuano a vivere e a chiederci conto della nostra umanità.

Stiamo vivendo veramente questo.

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