La Palude Marrone: Quando l'Indifferenza Nutre il Germe del Fascismo
Avrei voluto intitolare queste riflessioni solo con un termine, ad evocare la putrescenza, la contaminazione: "marrone".
Un colore che si forma dalla mescolanza insidiosa del rosso, vibrante simbolo delle lotte per l'emancipazione e della fiamma incrollabile della Resistenza, con il nero, l'ombra lugubre che da sempre avvolge le ideologie autoritarie e oppressive, in primis il fascismo.
Questa fusione cromatica, purtroppo, sembra riflettere una tendenza inquietante che serpeggia nel tessuto sociale e politico del nostro Paese.
In questi giorni, assistiamo a una pericolosa banalizzazione della storia, a un tentativo subdolo di equiparare ricorrenze antitetiche come il 25 Aprile e il 1 Maggio, riducendole a semplici "feste rosse".
Un'operazione che mira a oscurare la profonda distinzione tra la celebrazione della Liberazione dal giogo nazifascista – atto fondativo della nostra Repubblica democratica – e la commemorazione delle sacrosante battaglie per i diritti e la dignità del lavoro.
Chi opera questa confusione, spesso con intenti tutt'altro che innocenti, dimostra una abissale ignoranza della nostra storia o, peggio, una malafede che inquieta.
E poi ci sono loro, gli epigoni di un'ideologia che ha macchiato di sangue e vergogna la nostra nazione.
La recente manifestazione di Milano in ricordo di Sergio Ramelli, al di là del legittimo ricordo di una vittima degli anni di piombo, si è trasformata in una vergognosa ostentazione di simboli, slogan e gesti che richiamano un passato oscurantista e, soprattutto, illegale.
Il ripetersi stanco e inquietante del "presente" e del saluto romano nel cuore di una città medaglia d'oro della Resistenza non è una goliardata nostalgica, ma una precisa e inequivocabile apologia di fascismo, un crimine che la nostra legislazione dovrebbe punire con severità.
Ciò che desta un allarme ancora maggiore è la reazione ambigua, se non addirittura complice, di alcune istituzioni di fronte a queste manifestazioni.
L'episodio emblematico della fornaia di Ascoli Piceno, Lorenza Roiati, identificata con solerzia dalle forze dell'ordine per aver esposto un cartello che esprimeva un sentimento antifascista profondamente radicato nella nostra Costituzione, contrasta in modo stridente con la tolleranza, se non la protezione, accordata ai partecipanti al raduno di Dongo.
In quel luogo intriso di storia, dove Mussolini fu catturato dai partigiani, abbiamo assistito all'ennesima parata di teste rasate e braccia tese, inneggianti a un dittatore e ai suoi gerarchi, il tutto sotto l'occhio vigile, ma stranamente passivo, delle forze dell'ordine, che anzi si sono preoccupate di proteggerli dalle sacrosante proteste degli antifascisti che cantavano "Bella ciao". Un'inversione kafkiana del ruolo dello Stato che lascia sgomenti.
Le parole del Presidente del Senato, Ignazio La Russa, sulla manifestazione di Dongo – liquidate come una "bonaria" commemorazione – suonano come uno schiaffo alla memoria di chi ha combattuto e sacrificato la propria vita per liberare l'Italia dal fascismo.
Il suo ostinato rifiuto di definirsi antifascista e il suo silenzio assordante di fronte a queste continue provocazioni rappresentano una pericolosa strizzata d'occhio a una frangia minoritaria ma rumorosa che mina le fondamenta democratiche del nostro Paese.
Come possiamo tollerare che, in un'Italia che si proclama erede della Resistenza, si identifichi una cittadina per un cartello antifascista mentre si scorta e si protegge chi inneggia a un regime criminale?
La legge Scelba e la legge Mancino, pur esistendo, sembrano lettera morta, sacrificate sull'altare di una malintesa interpretazione della libertà di pensiero, che non può e non deve mai giustificare la riabilitazione di un'ideologia che ha calpestato i diritti umani e condotto l'Italia alla rovina.
Fortunatamente, la coscienza civile del Paese non è sopita.
La solidarietà trasversale nei confronti di Lorenza Roiati, la risposta ferma e dignitosa degli antifascisti di Milano e Dongo, il coraggio di chi, come a Romano di Lombardia, ha sfidato il divieto di suonare "Bella ciao", dimostrano che il seme dell'antifascismo è ancora vivo e pronto a germogliare.
La vergogna di uno Stato che sembra proteggere i fantasmi del passato e criminalizzare chi difende i valori fondanti della Repubblica è una ferita profonda.
Non possiamo permettere che questa palude marrone continui a inghiottire la nostra memoria e il nostro futuro.
È imperativo che le istituzioni, a partire dal Governo, prendano una posizione netta e inequivocabile, applicando con rigore le leggi esistenti e isolando con fermezza ogni tentativo di rigurgito fascista.
Perché l'antifascismo non è un'opzione politica, ma il fondamento etico e civile della nostra democrazia, un baluardo imprescindibile contro l'oblio e la barbarie.
È tempo di smettere di strizzare l'occhio all'ombra e di tornare a guardare con fierezza alla luce della Liberazione.
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