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Patagarri grandiosi al Concertone: "Palestina Libera" su Hava Nagila e la Bufera sulla Comunità Ebraica



Il Paradosso di Israele e la Realtà dell'Occupazione.

Il tradizionale Concertone del Primo Maggio è stato quest'anno teatro di un momento artistico e politico dirompente, destinato a far discutere a lungo. 

La band romana dei Patagarri, salita sul palco per la propria esibizione, ha lanciato un messaggio forte e chiaro sulla questione palestinese, scatenando una vibrante reazione da parte della comunità ebraica di Roma.

Il frontman e trombettista del gruppo, Francesco Parazzoli, ha introdotto la performance con parole significative: "Pensiamo che, finché ogni popolo non sarà libero di auto-determinarsi e vivere in pace, non potremo essere allegri". Un’affermazione che ha subito trovato una potente eco nella scelta musicale successiva.

Sulle note di "Hava Nagila", un brano tradizionalmente associato alla celebrazione della dichiarazione Balfour e alla nascita dello Stato di Israele, Parazzoli ha ripetuto con forza lo slogan "Free Palestine", "Palestina libera". Un’operazione di riappropriazione simbolica che non è passata inosservata e che ha immediatamente acceso un dibattito infuocato.

La reazione della comunità ebraica di Roma non si è fatta attendere, giungendo a definire l'esibizione dei Patagarri addirittura "macabra". Un termine che stride profondamente con la realtà drammatica che si consuma nella Striscia di Gaza, con un bilancio di oltre 50.000 vittime innocenti, tra cui giornalisti, operatori umanitari e civili inermi, sotto i bombardamenti e la grave carenza di risorse primarie.

La risposta dei Patagarri al presidente della comunità ebraica è giunta puntuale e incisiva, ribadendo con forza la loro posizione. 

In una nota diffusa, la band ha dichiarato: "A chi ha definito la nostra esibizione di ieri ‘macabra’ rispondiamo che per noi macabro è un mondo nel quale migliaia di bambini vengono ammazzati, gli ospedali bombardati, i civili sterminati. Un mondo nel quale chi chiede la pace viene accusato di creare divisioni e di generare odio antisemita".

Il gruppo ha poi spiegato la scelta di utilizzare "Hava Nagila" senza il testo originale, che celebra la gioia di stare insieme: 
"Abbiamo sentito la necessità di privarla del testo originario [...] per sottolineare che da troppo tempo, nel Medio Oriente, quella gioia non esiste più. 
Abbiamo voluto testimoniare le storie dei civili, ovvero di chi paga il prezzo più alto durante le guerre, perché vittime innocenti. 
Qualsiasi report internazionale sottolinea che il prezzo in termini di morti, feriti e mutilati che la comunità palestinese sta pagando è inaccettabile. 
Abbiamo solo ribadito dati oggettivi".

La riflessione sollevata da molti, e implicitamente suggerita dalla performance dei Patagarri, si fa ancora più cupa se si considera la condotta attuale di Israele. 

Per alcuni osservatori, si sta delineando un inquietante parallelismo con le atrocità del regime nazista di Hitler. 

Come è possibile che un popolo che ha subito in modo così brutale la Shoah, un popolo che per decenni è stato considerato vittima per antonomasia, possa oggi ritrovarsi ad agire con una ferocia tale da evocare spettri del passato? Come può una nazione, fondata sulle ceneri di un genocidio, non ricordare la sofferenza patita e infliggere un dolore simile, seppur in un contesto storico differente, a un altro popolo?

Questo paradosso solleva interrogativi morali profondi. 
Al di là delle narrazioni e delle rivendicazioni territoriali israeliane, la realtà sul campo è innegabile: quella terra, riconosciuta o meno da tutti gli stati, è la Palestina, e da decenni Israele ne è la forza occupante. 

Questa occupazione, con le sue conseguenze di restrizioni, violenze e privazioni per la popolazione palestinese, è un fatto concreto che non può essere ignorato. 
Sembra quasi che, attraverso le proprie azioni di potenza occupante, Israele stia paradossalmente alimentando un sentimento di ostilità e risentimento nei suoi confronti, allontanandosi da quella narrazione di vittima innocente che ha a lungo caratterizzato la sua storia.

I Patagarri hanno concluso il loro messaggio con un appello al dialogo e alla ricerca di un linguaggio comune per esprimere l'urgenza di porre fine alle sofferenze: 
"Mettiamoci allora d’accordo su quali sono le parole giuste per chiedere che i bambini non muoiano più, che gli ospedali non vengano più bombardati, senza essere accusati di invocare la distruzione del popolo israeliano, senza finire in questa trappola retorica dell’antisemitismo, accusati per tramite di sofismi insopportabili, mentre la gente continua a morire".

L'eco del gesto dei Patagarri continua a risuonare nel panorama politico e culturale italiano, sollevando interrogativi profondi sul ruolo della musica come strumento di denuncia e sulla complessità del conflitto israelo-palestinese. 

La loro performance al Concertone del Primo Maggio si configura come un atto di coraggio artistico e di forte presa di posizione politica, destinato a lasciare un segno tangibile nel dibattito pubblico, spingendo a una riflessione scomoda ma necessaria sul presente e sul passato, e sulla persistente realtà dell'occupazione.


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