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Piero Delfino Pesce: Intellettuale Meridionalista, Politico Intransigente, molese e Anima Libera - Un Ricordo Vivo Grazie anche a Rai Tre

 

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Il padre del pensiero meridiano


Figura poliedrica e appassionata, Piero Delfino Pesce (1874-1939) incarna l'essenza di un intellettuale impegnato, profondamente radicato nella sua terra ma con uno sguardo aperto al fermento culturale europeo. 

Nato a Mola di Bari da una famiglia borghese, questo mazziniano convinto, politico lungimirante e fondatore di riviste innovative, si configura come uno dei precursori del pensiero meridionalista, un movimento che mirava a valorizzare l'identità culturale e il potenziale del Sud Italia.

Dopo gli studi di giurisprudenza all'Università di Napoli, dove abbracciò gli ideali repubblicani, Pesce tornò nella sua Puglia con una fervente passione per la cultura e la politica. 
La sua vivacità intellettuale si manifestò precocemente con la creazione, nel 1899, della rivista d'arte "Aspasia". Questa prima iniziativa editoriale fu solo l'inizio di un percorso costellato di impegno civile e di una profonda fiducia nel ruolo propulsivo della cultura.

L'impegno politico si concretizzò con la fondazione della sezione del Partito Repubblicano a Mola di Bari. 
Eletto consigliere provinciale, Pesce si distinse per battaglie concrete e coraggiose, come quella per la pubblica gestione dell'Acquedotto Pugliese, una questione cruciale per lo sviluppo della regione, che egli stesso analizzò in un pamphlet polemico.

Il 1911 segnò una svolta fondamentale nella sua traiettoria intellettuale con la nascita di "Humanitas". 
Ben più di una semplice rivista, "Humanitas" fu una casa editrice e la prima rivista culturale pugliese di respiro internazionale. 
Le sue pagine si aprirono a un dialogo fecondo tra diverse forme d'arte – letteratura, pittura – e all'attualità politica, accogliendo voci eterogenee che spaziavano dall'anarchismo al futurismo. 
La rivista si fregiò della collaborazione di nomi illustri del panorama culturale italiano, tra cui Salvatore Quasimodo, Filippo De Pisis, Anton Giulio Bragaglia, Napoleone Colajanni e Giuseppe Di Vagno. 
La sua risonanza superò i confini regionali, tanto da annoverare tra i suoi lettori figure del calibro di Antonio Gramsci e Guillaume Apollinaire.

"Humanitas" si pose l'ambizioso obiettivo di coniugare gli ideali mazziniani con una rinnovata coscienza mediterranea, promuovendo l'immagine del Sud come un vivace centro di produzione culturale. 
Oggi, le preziose testimonianze di questa stagione feconda sono gelosamente custodite presso la biblioteca "De Gemmis" di Bari e il Centro documentazione "Piero Delfino Pesce" a Mola di Bari, luoghi che ne preservano la memoria e l'importanza storica. 

Tutto questo ricco percorso umano e intellettuale è stato oggetto di un interessante servizio recentemente andato in onda su Rai Tre, che ha saputo restituire la complessità e la modernità della figura di Pesce attraverso diverse testimonianze.

L'intensa attività intellettuale di Pesce si intrecciò indissolubilmente con un'azione politica coraggiosa, che lo portò a scontrarsi frontalmente con l'avvento del fascismo. Schieratosi fin da subito per una "rigida e fervida intransigenza", come egli stesso la definì, subì le prime ritorsioni nel settembre del 1922, con un arresto per "sobillazione di folle", accusa da cui fu assolto dopo trentacinque giorni di detenzione.

Il clima politico si fece ancora più oppressivo dopo l'assassinio di Giacomo Matteotti nel 1924. In quel frangente drammatico, Pesce non esitò a chiedere le dimissioni di Mussolini e a incitare alla ribellione. 
La risposta del regime non tardò ad arrivare: la sede di "Humanitas" fu devastata da una squadra fascista, decretando la chiusura forzata della rivista e segnando una ferita profonda nel tessuto culturale pugliese. 
Nel 1925, durante una manifestazione in difesa della libertà di stampa, Pesce fu nuovamente arrestato, dando inizio a un periodo di sofferenza personale e professionale, nonché di isolamento culturale.

Costretto a reinventarsi, Pesce trovò rifugio in altre forme di espressione artistica, dedicandosi con passione alla pittura. 
Questo eclettismo, lungi dall'essere un ripiego, testimoniava la sua inesauribile creatività e la sua capacità di trasformare la necessità in opportunità espressiva.

Negli ultimi anni della sua vita, il teatro divenne un nuovo terreno fertile per il suo ingegno. 
Vi si dedicò con dedizione e successo, quasi a voler sigillare la sua esistenza con un ultimo, sorprendente atto creativo. 
La morte lo colse improvvisamente l'11 dicembre 1939, mentre lavorava con passione alla messa in scena della sua ultima opera, nella sala prove.

La sua vita intensa e multiforme, costantemente animata dall'amore per la libertà e dalla vivacità dell'ingegno, lascia un segno indelebile nella storia culturale e politica del Mezzogiorno. 

Come mirabilmente sintetizzato dalle parole di Tommaso Fiore, Piero Delfino Pesce fu "il più gentile dei fiori del sapere, una voce libera, sola, predicante nel deserto". 

Un'eredità preziosa, oggi rievocata con passione dalle voci che hanno arricchito il servizio di Rai Tre: Nicola Fanizza, direttore del Centro documentazione "Piero Delfino Pesce"; Piero Delfino Pesce, suo nipote; Vitangelo Magnifico, studioso delle sue commedie; e Irene Mossa, sua pronipote. 

Le loro preziose testimonianze hanno contribuito a delineare un ritratto vivido e attuale di questo straordinario intellettuale.

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