Da Tajani e la sua definizione di "genocidio" al Pelè di Palestina ammazzato. Politica, calcio e la crisi in Medio Oriente: un intreccio di eventi e dichiarazioni.
La Guerra non è un pallone, ma di palloni gonfiati e spudorati ne abbiamo da vendere...
Questo periodo dell'anno, tradizionalmente dominato dalle discussioni sul calcio, si trova ad affrontare la pressante realtà della situazione internazionale.
Di solito in questo periodo si parla di calcio ed invece la politica va in vacanza.
La grave situazione degli eventi internazionali, però, impongono una necessaria inversione di tendenza.
Purtroppo, però, c'è sempre da fare i conti con il livello delle cose e delle persone, quindi parleremo in questo articolo sia di calcio, anche se indirettamente che si politica, ma le due cose hanno aimé del raccapricciante.
Di recente, le dichiarazioni di ministro degli Esteri italiano hanno sollevato un dibattito acceso riguardo alla terminologia da usare per descrivere gli eventi in corso a Gaza.
Tajani, rispondendo a una domanda di un giornalista, ha spiegato che, a suo avviso, non si può usare la parola "genocidio" in senso giuridico.
Ha specificato che "genocidio" implicherebbe una "decisione preordinata di sterminare un popolo", facendo un parallelo con l'Olocausto. Allo stesso tempo, ha definito "inaccettabili" le azioni che stanno colpendo la popolazione civile, sostenendo che si sta andando "oltre ogni limite" e che i civili non hanno nulla a che fare con Hamas.
Ed il calcio, non dovevamo parlare anche di quello?
Eh... Purtroppo si, ma l'avevo detto, in maniera indiretta ...
Nel contesto di questa grave situazione, è stata riportata la tragica storia di Suleiman Obeid, un calciatore palestinese di 41 anni, una leggenda dalle sue parti, soprannominato il "Pelé palestinese".
Secondo quanto riferito, Obeid sarebbe stato ucciso dall'esercito israeliano mentre era in fila per il cibo a Gaza.
La sua morte sottolinea le gravi conseguenze del conflitto sulla popolazione civile.
La storia di Obeid, un personaggio noto nella sua comunità, è stata usata per mettere in evidenza la sofferenza quotidiana di decine, se non centinaia, di persone che perdono la vita in circostanze simili, spesso senza che la loro storia venga raccontata.
La sua vicenda è diventata un simbolo del dramma vissuto dalla popolazione locale e la speranza è che lo diventi anche oltre i propri confini.
Il suo essere noto, leggenda e simbolo non gli ha impedito di morire ammazzato come tanti, come tutti, sempre nello stesso modo, accalcato alla ricerca di cibo non solo per sé ma anche per sfamare la sua famiglia.
"Quella di Suleiman è solo una morte che fa più rumore nel quotidiano di decine, centinaia di morti di cui nessuno parla neanche, in questo silenzio assordante del mondo davanti a un genocidio.
La sua vita e la sua morte non valgono di più di quella di chiunque altro.
Ma magari, nell’ipocrisia e nell’indifferenza di molti, può diventare un simbolo per chi muore ammazzato senza neanche essere notizia, avere una croce o una mezzaluna".
Lui non giocherà più nessuna partita.
Non sanno neanche più cosa sia una partita di calcio da quelle parti
Quelli che il ministro Abodi ha avuto il coraggio spudorato di chiamare “aggressori”.
La speranza è che almeno questo nome, Obeid Suleiman, "urli nelle coscienze agonizzanti di madri, padri, cristiani e ministri".
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