Ponte sullo Stretto, la grande illusione di Salvini: 13 miliardi, zero lavori e il rischio di maxi penali. Il solito "legaiolo'"
L'annuncio trionfale del ministro si scontra con una realtà di ostacoli burocratici, cause legali e una clausola di risarcimento miliardaria a carico dei contribuenti.
L'entusiasmo sbandierato dal ministro Matteo Salvini per il Ponte sullo Stretto si scontra con una realtà ben più complessa e ricca di incognite.
Nonostante l'annuncio trionfale dell'avvio dei lavori, previsto con la firma del progetto definitivo, i fatti smentiscono la retorica ministeriale.
Il primo e più evidente punto di scontro è che la cerimonia tanto decantata non segna l'inizio di alcun cantiere.
La firma di domani, infatti, darà il via libera a uno stanziamento di 13,5 miliardi di euro di fondi pubblici, ma per un'opera che, a ben guardare, non è pronta per partire!!!!!
Il progetto esecutivo, l'unico che permetterebbe di avviare concretamente le attività, non esiste ancora.
Mancano, inoltre, le approvazioni fondamentali: quella della Corte dei Conti, necessaria per la validazione della spesa, quella ambientale e quella della Commissione Europea.
In sostanza, si tratta di un'operazione finanziaria e politica che precede la verifica di fattibilità e sostenibilità.
A complicare il quadro si aggiunge un'ondata di ricorsi legali.
Come denunciato da comitati come "Invece del Ponte", il progetto si trova a dover fare i conti con una serie di vincoli, prescrizioni e problemi normativi che rendono il percorso tutt'altro che agevole.
Si preannunciano battaglie legali a livello locale, nazionale ed europeo che potrebbero bloccare l'iter per anni.
Il dettaglio più controverso, e che getta un'ombra sulla gestione della vicenda, riguarda la clausola di risarcimento per le aziende costruttrici.
Con un accordo che ha sollevato forti perplessità, Salvini avrebbe promesso un indennizzo preventivo di 1,5 miliardi di euro alle imprese private coinvolte, come riportato da alcune testate giornalistiche tra cui “Repubblica”.
Una somma che le aziende riceverebbero qualora il progetto non andasse in porto.
La cifra, va sottolineato, non è a carico del partito (che in teoria dovrebbe già restituire all'Italia cifre molto considerevoli) o del ministro legaiolo, ma verrebbe pagata con i fondi pubblici, ovvero con i soldi di tutti i cittadini italiani.
In sintesi, il ministro sembra aver costruito una piattaforma politica e mediatica, il cui costo è garantito interamente dai contribuenti.
Lo Stato, e di conseguenza i cittadini, rischiano di pagare in ogni caso: o per la realizzazione di un'opera colossale, la cui utilità e impatto ambientale sono fortemente dibattuti, oppure, se il progetto dovesse fallire a causa di ricorsi e ostacoli burocratici, tramite il pagamento di una maxi penale alle aziende private.
Una situazione che molti osservatori definiscono un "regalo" anticipato ai privati, protetti da un "paracadute" economico a spese della collettività.
Commenti