Come volevasi dimostrare...
Quello che per mesi era solo un’ombra di perplessità, alimentata da esperti e voci critiche, si è materializzato in un sonoro schiaffo politico e tecnico.
La Corte dei Conti ha assestato un colpo durissimo al progetto del Ponte sullo Stretto, mettendo in discussione non solo la sua fattibilità, ma l'intero percorso intrapreso dal governo Meloni e, in particolare, dal suo principale sostenitore, il ministro Matteo Salvini.
In un documento di sei pagine, i magistrati contabili hanno espresso una serie di rilievi che suonano come una vera e propria bocciatura.
Al centro del giudizio ci sono le decisioni assunte dal Cipess (Comitato Interministeriale per la Programmazione Economica e lo Sviluppo Sostenibile) per rilanciare l'opera, ritenute viziate da pesanti lacune.
Le osservazioni, chiare e inequivocabili, gettano ombre su diversi aspetti, da quelli procedurali e amministrativi a quelli più strettamente tecnici.
Il report parla di "documenti carenti" e sottolinea la necessità di integrare la delibera con dati e analisi cruciali.
Ma non è tutto.
Le perplessità riguardano anche il potenziale mancato rispetto delle normative europee, soprattutto in materia ambientale e di appalti.
Le stesse Direttive Comunitarie, spesso richiamate a garanzia della trasparenza e della correttezza, sembrerebbero messe a rischio.
Ma il colpo più duro, forse, arriva sul piano economico.
La Corte ha messo nero su bianco il rischio di un
"enorme spreco di risorse e capitali". Un'accusa pesantissima che riporta in primo piano i circa
50 milioni di euro già stanziati per riattivare la società Stretto di Messina S.p.A. e avviare le prime attività preparatorie.
Una cifra che, a oggi, rappresenta un investimento a vuoto se il progetto dovesse naufragare.
La domanda che in molti si pongono e pongono ora al ministro Salvini è
chi si assumerà la responsabilità di questo sperpero e chi risarcirà le casse dello Stato?
La notizia, come previsto, ha generato un'ondata di reazioni.
Mentre l'opposizione e gli esperti che da mesi mettono in guardia sui rischi dell'opera gridano al "l'avevamo detto", la risposta del governo non si è fatta attendere.
Con un copione ormai ben noto, la difesa è passata all'attacco.
Invece di accogliere i rilievi e valutare un passo indietro, si è preferito puntare il dito contro le cosiddette "toghe rosse dei conti", accusando i magistrati di pregiudizi politici e di voler ostacolare un'opera strategica per il Paese.
La sensazione è che il governo non abbia alcuna intenzione di ritirare la delibera del Cipess, malgrado le critiche, le lacune procedurali e le potenziali ricadute economiche.
Questa determinazione, tuttavia, ha alimentato ulteriori richieste.
In molti invocano non solo la necessità di una discussione seria e bipartisan sull'utilità e i rischi del Ponte, ma anche un gesto di assunzione di responsabilità da parte del titolare del
ministero dei Trasporti.
Se in un Paese "serio" il ministro si dimetterebbe per una "manifesta inadeguatezza" di fronte a un simile atto d'accusa, qui si preferisce la strategia del muro contro muro.
Il futuro del Ponte sullo Stretto si gioca ora tra il braccio di ferro politico, i rilievi contabili e le proteste della società civile.
E mentre l'Italia continua a domandarsi chi pagherà per gli errori e i costi già sostenuti, una cosa è chiara: la sfida tra il sogno di un'opera faraonica e la realtà di una procedura burocratica e finanziaria complessa è appena entrata nella sua fase più critica.
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